sabato 26 luglio 2008
lunedì 14 luglio 2008
venerdì 20 giugno 2008
lunedì 16 giugno 2008
Il cristiano predica bene e razzola di merda
martedì 10 giugno 2008
domenica 8 giugno 2008
Intervista a Di Pietro
Antonio Di Pietro: «Con quella legge lì, Mani Pulite sarebbe nata e subito morta. Perché Mario Chiesa lo abbiamo arrestato in flagranza, sì, ma solo perché era sotto intercettazione. E così tutti gli altri dopo di lui».
La Repubblica: Divieto assoluto di intercettazioni, cinque anni a chi le esegue e a chi le pubblica. Onorevole Di Pietro, il premier Berlusconi ci riprova. Ma stavolta i numeri della maggioranza sono dalla sua.
Antonio Di Pietro: «È un progetto criminogeno, che noi di Idv tenteremo di contrastare, dentro e fuori il Parlamento. Se necessario anche facendo ricorso al referendum. Perché non è degno di uno stato di diritto che di fronte a un problema reale, il crimine, vengano eliminati gli strumenti a disposizione per combatterlo».
La Repubblica: La stretta farebbe salve le inchieste su criminalità organizzata e terrorismo. Ma non i reati per corruzione e concussione. Insomma, i reati dei colletti bianchi. Cosa vuol dire?
Antonio Di Pietro: «Intanto, vuol dire che il governo rinuncia a perseguire anche la grande criminalità. Perché per scoprire che un gruppo di persone delinque in modo organizzato, che una serie di reati specifici fanno parte di un disegno criminoso, occorrono prima indagini, intercettazioni, appunto. Nel momento in cui impediscono di farle, escludono la possibilità di risalire all´organizzazione».
La Repubblica: Ha la sensazione che si tratta di una legge ad personam?"
Antonio Di Pietro: «È il solito modello berlusconiano. Mano dura nei confronti dei più deboli e occhio di riguardo verso gli amici. Piuttosto la definireri una legge ad personas. In favore di quelle che fanno parte della casta. Ecco cos´è, una norma salva casta».
La Repubblica: Carcere per i giornalisti, pesanti multe per gli editori. Ha l´impressione che nel mirino ci sia l´informazione?
Antonio Di Pietro: «Altro che impressione, è proprio così. Con l´intento evidente di impedire all´opinione pubblica di conoscere quel che di illecito accade dentro il palazzo del potere».
La Repubblica: Ammetterà che in questi anni non sono mancati gli eccessi. Dialoghi privati intercettati e poi immotivatamente pubblicati.
Antonio Di Pietro: «Distinguiamo tra intercettazioni lecite e quelle illegalmente acquisite. Queste ultime, tipo Telecom o Pio Pompa per intenderci, non vanno pubblicate. Ma per quelle lecite, va solo evitato che la pubblicazione avvenga prima del deposito degli atti. Il resto deve essere rimesso alla deontologia del giornalista, che non può essere definito tale se scrive dei baci mandati via sms da Anna Falchi a Ricucci. Non per questo, però, l´opinione pubblica deve restare all´oscuro del traccheggio tra i furbetti del quartierino e il governatore della Banca d´Italia».
La Repubblica: Il Guardasigilli Alfano ha ricordato che le intercettazioni pesano per il 33 per cento della spesa complessiva per la Giustizia: «Un eccesso». Concorda?
Antonio Di Pietro: «Perché non risparmia anche sul restante 70 per cento? Magari riducendo le indagini di polizia e carabinieri? I tagli vanno fatti agli sprechi a tutti i livelli, non sugli strumenti dei magistrati. Il ministro dovrebbe ricordare che negli ultimi dieci anni sono stati confiscati ai criminali e depositati presso gli uffici postali 1 miliardo 560 milioni. Quanto una mini manovra. Anche grazie alle intercettazioni. Peccato che quel tesoro giaccia inutilizzato: noi proponiamo che venga invece impiegato per il funzionamento della giustizia. Se Alfano ha bisogno di soldi, li recuperi da lì, non impedisca agli inquirenti di lavorare».
venerdì 6 giugno 2008
giovedì 5 giugno 2008
E la chiamavano Bocca di Rosa
martedì 3 giugno 2008
La bufala del "reato di clandestinità"
di Bruno Tinti (curatore di Toghe rotte)
Informazione e Satira secondo i politici.
Quelli invece che si informano, soprattutto via Internet, che leggono libri o ascoltano la satira hanno le chiappe serrate e sanno come rispondere.
Lo sanno bene i politici, di ambo gli schieramenti che ataccarono la Rai e Travaglio per le sue dichiarazioni su Schifani. Dichiarazioni VERE, che erano già state pubblicate su LIBRI, e su L'ESPRESSO. Schifani aveva anche perso la causa contro L'Espresso perchè il tribunale affermò che il contenuto dell'articolo era veritiero. Finchè una cosa stà sulla carta non frega niente a nessuno, tanto gli italiani i libri non li leggono. Ma appena finisce in televisione, apriti cielo. Eccezion fatta per DI PIETRO, l'unico politico vero che abbiamo in Italia, tutti a dire peste e corna su Travaglio.
Non può andare in tv e gettare fango su cariche dello stato senza contraddittorio!
Ma quale fango? E' tutto vero. La Sicula Brokers è stata fondata nel 1979 e tra i soci c’erano Nino Mandalà, Renato Schifani ed Enrico La Loggia, nonché Benny D’Agostino e Giuseppe Lombardo. Benny D’Agostino è un imprenditore condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e, negli anni in cui era socio di Schifani e La Loggia, frequentava il gotha di Cosa nostra. Lo ha ammesso lui stesso al processo Andreotti quando ha raccontato di un viaggio Napoli-Roma in Ferrari in compagnia di Michele Greco. Giuseppe Lombardo era amministratore delle società dei cugini Ignazio e Nino Salvo, boss della famiglia di Salemi.
Tra l'altro, come ricordato da Travaglio a "Passaparola" (l'appuntamento settimanale via web-cam), Paolo Ruffini, il direttore di Raitre che ha pubblicamente chiesto scusa (via Fazio) altri non è che il nipote del mafioso La Loggia. Piccolo conflitto d'interessi.
Ma quale contraddittorio? Quella a "Che tempo che fa" era una intervista. E da che mondo è mondo una intervista non prevede contradditorio. Se così fosse ogni volta che intervistano Berlusconi, accanto a lui dovrebbe esserci seduto Di Pietro per contraddire. Stronzata.
La satira è un mezzo fondamentale, oltre che per divertirsi, per scoprire la realtà dei fatti. Ecco perchè Dario Fo e Daniele Luttazzi in TV non ci sono mai (Fo ogni tanto ci va, ma gli vietano di fare satira). Luttazzi lo hanno cacciato da La7 (illegalmente) perchè stava preparando una puntata contro la Chiesa e il Papa e, secondo i ben pensanti nostrani, è severamente vietato ironizzare sulla Chiesa. Aldo Grasso in un articolo su Corriere.it ha detto, riferendosi alla battuta su Ferrara che secondo politici e giornalisti è stata la causa della chiusura di Decameron (battuta tra l'altro che si rifà a Francois Rabelais scrittore vissuto a cavallo tra '400 e '500): "certe cose non si dicono, soprattutto in nome della libertà d'espressione". Ma se NON SI DICONO che cazzo di libertà d'espressione è?
Per capire l'importanza della satira e quindi le mosse dei potenti per chiudergli il becco (a lei e alla vera informazione) riporto un estratto dal libro "L'amore e lo sghignazzo" di Dario Fo:
martedì 20 maggio 2008
Comunque...non è urgente!
Francesco D'Agostino, ordinario di Filosofia del diritto all'Università di Tor Vergata e presidente onorario del Comitato nazionale di bioetica.
NON CI SONO ESIGENZE SOCIALI. Ecco alcune di quelle storie, che il signor D'Agostino ritiene marginali.
Federica e Francesco Filipponi
Francesco è morto. È morto il 21 maggio del 2004, investito da un pirata della strada che guidava in stato di ebbrezza e non ha rispettato la precedenza. È morto sul colpo, contro un palo della luce, a 38 anni, mentre stava recandosi al lavoro. Da anni viveva con Francesca, si amavano, ma non si erano sposati. L'avrebbero fatto, di lì a pochi mesi, ma la morte è arrivata prima, senza preavviso. Nel 2001 comprarono una casa insieme, Francesco accese il mutuo e una assicurazione al mutuo. Quando è morto il mutuo è stato bloccato e pagato dall'assicurazione, così la casa è passata agli eredi. Cioè: il padre di Francesco, la madre e la sorella. Federica no. Capita così che la famiglia di lui inizia a chiedere la casa, la giovane donna la deve liberare, se ne deve andare, oppure deve sborsare 350 milioni delle vecchie lire, perché i genitori di Francesco l'hanno fatta valutare e le fanno il piacere di «abbonargliene» 50, altrimenti sarebbero 400. Il 14 luglio 2004, a 57 giorni dalla morte del suo compagno Federica riceve la prima comunicazione scritta, «le chiediamo di lasciare l'immobile che sta occupando senza titolo». Le comunicazioni si susseguono l'una all'altra: non c'è alcuna legge che tuteli Federica, malgrado i dieci anni di convivenza, la residenza nella casa acquistata con il suo compagno. Non è una vedova. Per la legge non è nulla.
Lorenzo e Luca
Racconta Lorenzo: «Una mattina come tante Luca è uscito con la sua auto per andare in ufficio. Mentre si trovava sulla tangenziale di Milano, un camion ha saltato la corsia e lo ha preso in pieno. Da quel momento la nostra vita è cambiata. Fu portato all'ospedale in stato di incoscienza e ovviamente furono avvertiti il fratello e la madre. Io ero in redazione (faccio il giornalista) e non ho saputo niente fino alla sera, quando un comune amico mi avvertì. Da quel momento è iniziato per me un calvario doppio: oltre alla preoccupazione per le sue condizioni di salute, dovevo preoccuparmi pure dei suoi parenti che volevano tenermi lontano. Non solo non mi hanno permesso di assisterlo, ma mi hanno impedito perfino di entrare un attimo nella sala di rianimazione per stringergli la mano. Mi hanno totalmente escluso. Per 8 giorni Luca è rimasto in coma e io non ho potuto vederlo, parlare con i medici, poter decidere a quale cura sottoporlo. Diciamo che io e un qualunque passante in quel momento avevamo gli stessi diritti».
Adele Parrillo e Stefano Rolla
Stefano Rolla, regista, è morto a Nassiriya, mentre girava il cortometraggio «Guerrieri di pace, Babilonia tra due fiumi». È morto insieme ai carabinieri italiani saltati in aria dopo che un camion bomba era entrato nella caserma. Adele Parrillo, la sua compagna, non è stata invitata neanche alla commemorazione delle vittime un anno dopo quella strage. «Eccomi qui, dopo un anno dalla morte del mio compagno sono un fantasma». Ha dovuto scrivere al ministro della Difesa e a quello dell'Interno chiedendo di essere inserita nell'elenco dei familiari delle vittime e di avere accesso allo stesso trattamento delle vedove «perché io non ero un'estranea per Stefano. Non ero una sua amica, una sua collega. Ero la donna con la quale viveva, con la quale aveva sperato di riuscire ad avere un figlio». Il giorno della commemorazione ha consegnato nelle mani del presidente della Camera Pierferdinando Casini, «l'atto notorio di conviventi more uxorio». Adele ha raccontato: «Dopo l'attentato di Nassiriya i familiari delle vittime sono stati seguiti e assistiti con programmi di assistenza psicologica, dai quali sono stata esclusa. Non ho ricevuto neanche il risarcimento, che è stato corrisposto a tutti i familiari, compresi i figli di Stefano Rolla».
Marisa e Renata
Marisa e Renata si incontrano a Modena in una fabbrica di ceramica dove lavorano. E si innamorano. Comprano una casa e aprono un allevamento di polli. Gestiscono insieme, con il passare degli anni, una pizzeria, un bar, una rosticceria. Trascorrono 30 anni. Una sera di dieci anni fa restano coinvolte in un incidente stradale. Finiscono entrambe in ospedale: Marisa si salva, Renata finisce in terapia intensiva, può ricevere visite limitate e solo una persona per volta. Marisa chiede di vederla, permesso negato. Solo i parenti. Renata ha un fratello che vive a Philadelphia. Che non viene mai a trovarla. Nessuno viene a trovarla. In sette mesi Marisa riesce a vedere la sua compagna soltanto sette volte. Renata muore sola, il fratello torna e reclama l'eredità. Marisa è costretta a «ricomprarsi» metà della casa e della rosticceria.
Facciamo con calma per i diritti alle coppie di fatto, tanto non è una cosa urgente. Sono solo storie marginali di uomini e donne che soffrono. Che bisogno c'è di aiutarle?
sabato 29 marzo 2008
Berlusconi? No, grazie.
martedì 4 marzo 2008
sabato 2 febbraio 2008
La 194 non si tocca.
Estratto da "L'Espresso" del 17 Gennaio 2008 di Daniela Minerva
"Era il peggiore momento della mia vita: mi muovevo tra tre città, mio padre aveva appena avuto un infarto, avevo appena cambiato compagno, avevo persino qualche guaio giudiziario. E 21 anni." E, nella confusione, si sbagliano anche i test: così il primo risulta negativo e lei pensa a un ritardo. Poi il secondo: positivo. Il tempo stringe. Corre a fare l'ecografia, ormai verso la decima settimana, e l'ecografista le mostra il cuore, spiega dove sono gli organi. "Non te lo dimentichi più, continui a rimuginare su quella foto. Oggi avrebbe sei anni: chissà come sarebbe?" Può capitare, all'improvviso nel peggiore momento possibile: disorientamento, paura, i genitori, anziani, contrari all'aborto, il compagno, troppo giovane, che non ne vuole sapere. Con un peso sul cuore che non puoi sopportare, a 21 anni. Sei talmente piccola a quell'età a trovarti in guaio senza sapere perchè. Ma anche allora, alla ragazza con cui stiamo parlando, non sfuggiva che: "Mettere al mondo un bimbo in una situazione così complicata significa creargli sin da subito dei problemi." [...] E alla madre che, invece "Mi diceva che se lo avessi fatto, sarei stata una persona migliore. Ma si può fare un figlio per raddrizzare la propria vita? Non è una cosa orribile?"
Due figli, 38 anni: restare incinta, per la terza volta, dopo 13 anni di matrimonio, senza averlo programmato sembra impossibile. Non si può dare la colpa all'ingenuità, all'ignoranza. Però accade. Magari perchè, dopo 13 anni e con una vita senza fiato tra lavoro, scuole, doposcuole, pediatri e palestre, tra ore nel traffico e cene in compagnia del Tg, resta, per sentirsi vivi, solo lo spazio dell'intimità. Che, poi, non è più così intenso, ma ci manca solo di appesantirlo con interrogativi sul ciclo dell'ovulazione o la richiesta di un'altra barriera alla fusione di coppia. Sono passati cinque anni e la persona che ce lo racconta, comincia solo ora a ricostruire quello che lei definisce "la cosa più terribile che possa capitare a una donna": essere costretta a decidere che quel figlio che porta in sè, a differenza degli altri, non ha diritto di nascere. Sta scegliendo tra un figli oe l'altro, e lo fa perchè dentro di lei non c'è altro spazio, perchè deve salvaguardare sè e il benesseredei suoi figli; non imporre rinunce, malumori, turbamenti a cui lei non riuscirebbe a far fronte. E il dolore di quella scelta, ci dice oggi: "E' inaudito. Non finisce mai. Perchè ti sentirai per sempre una madre inadeguata, debole, incapace; e, in fondo, una madre assassina." [...] Ma non c'erano alternative, inutile discuterne. La mia vita era un inferno: lavoro, figli, famiglia e adesso si è anche ammalato mio suocero. Il tutto nel traffico di Roma. Non potevo avere un'altro bambino, non avrei retto. So che leggendo, magari qualche anima bella penserà che altre ce l'hanno fatta con tre, quattro figli. Buon per loro. Essere madre non è un sacrificio. E' una gioia. Se si scatena il demo ne del non posso, vuol dire che non devi.
Essere madre non è un sacrificio. E' una gioia. Se si scatena il demone del non posso, vuol dire che non devi.
31 anni e un progetto in testa: una famiglia. Infranto da un'ecografista molto bravob Bravo da vedere quello che i nostri occhi non vedono nel tracciato degli ultrasuoni: gli organi addominal idel bambino non sono racchiusi da nulla, sono duoi dal corpo. Panico. Questa condizione è spesso legata ad anomalie cromosomiche associate con deficit mentali. "Quel figlio l ovolevamo, ma non potevamo rischiare." E la diagnosi prenatale ha mostrato che il bimbo sarebbe stato handicappato grave pieno di problemi di salute. "Tutti quei discorsi su quanto è bello crescere una creatura così sfortuna sono discorsi sa salotto, chi li fa non sa cosa significhi o è una santa, magari benestante. La realtà è che sei solo, che non ci sono servizi, che i costi sono insostenibili."
sabato 26 gennaio 2008
Satira - Dario Fo
All’istante, di contrappunto mi sono venute in mente caterve di espressioni e situazioni scurrili a dir poco feroci, impiegate da maestri storici della satira, a cominciare da Mattazzone da Calignano, grande giullare lombardo del XIII secolo, che, in un suo fabulazzo sulla lamentazione dell’uomo per la pena che Dio ha imposto a lui e alla sua femmina, elenca le fatiche e le mortificazioni nonché i continui flagelli e morbi a cui le creature umane sono sottoposte fin dalla creazione. Il Padreterno si lascia convincere dalle invocazioni dell’uomo e, ipso facto, decide di creare a suo vantaggio il villano, che lo servirà “in ogni bisogna” al par d’uno schiavo. In quell’istante passa di lì un asino e il creatore con un gesto della sua mano santa lo ingravida. Al nono mese, preannunciato da “un trempestar tremmendo de fulmini e saiette, de la panza de l’anemal, traverso el so’ cul de lü, sbotta de fora ol vilan spussento, tüto empastao de merda sgarosa e: stralak! Sto cul sforna criante ol servante creat da Deo. Una piova sbatente se spraca contra el corpazon del vilan scagazzao spussente, perché se faga cosiensa de la vita de merda che ve se presenta. ‘Da po’ che l’è nato egnudo’ ordena el Segnor ‘deghe un para de brache de canovasso crudo, brache spacà in del messo e dislassà, che no’ debbia pert tropp tempo in del pissà!’.”
Subito appresso mi appare Bescapè, un contemporaneo di Mattazzone da Calignano, che ci accompagna, mezzo secolo prima di Dante, nell’Inferno, dove personaggi ben noti della società del tempo vengono immersi a testa in giù nello sterco fumante, costretti a compiere gargarismi, trillando in gola secchiate di escrementi prodotti da animali fra i più fetenti.
E poi ancora vedo scorrere i milanesi longobardi sconfitti da Carlo Magno, che un anonimo fabulatore descrive costretti dall’Imperatore a “nettar co’ la lengua l’arco treonfal, costruit da lori mismi a onor da lu venzedor franzoso. Sü l’arcon tüti i soldat de Carlo gh’hann pissat sovra per una jornada entera e anco smerdao con cüra. Das po’ a ognün de’ Longobar fue ordenat de catar rospi, ratti e pantegan de fogna, e cusinarseli per far gran banchetto. I poverazz, boni cosiner con erbe parfumate, hann insaporit i boccon del pasto, engorgià tuto con gran fatiga e despo’ all’entrassat, tuto ch’avien magnat, gh’hann vomegado fora. L’emperador, desgostà, l’ha criat: ‘Ma cos’è ‘sta porcaria? No’ voi védar per le mee terre ‘sto vomegame! Lecadevelo subetamente e che tuto sia ben polido!’. Oh ch’el regal potestà!”.
Di certo si tratta di brani poco noti, che però Dante Alighieri ben conosceva per averli addirittura raccolti nel suo De Vulgari Eloquentia. Attraverso queste testimonianze, è risaputo, il sommo poeta, insieme ad altri autori che l’hanno preceduto, costruì il nuovo linguaggio, o Dolce Stil Novo, che ognuno di noi impara a considerare la base assoluta della nostra cultura.
Lo stesso Dante usa immagini similari per colorare di veemente indignazione la presenza di certi notissimi personaggi in cui incappa nell’infernale viaggio osceno. “A chi servirà quel buco vomitante fuoco?” chiede il tosco poeta a Virgilio. E quegli risponde: “Là dentro verrà fra poco infilato testa in giù, un Pontefice che ben merita di starsene a cottura lenta e le natiche al vento a sbattacchiar gambe al par d’un forsennato!”. Quel Pontefice è nientemeno che Bonifacio VIII, quello che incarcerò, costringendolo a vivere incatenato tra le proprie feci, Jacopone da Todi che si era permesso di insultare il Santo Padre in questione urlandogli: “Ahi! Bonefax! Hai iogato ben lo munno! Ahi! Bonefax! Che come putta hai traito la Ecclesia!” cioè, come una puttana hai ridotto la Chiesa!
Oggi, si sa, nessun cardinale si permetterebbe di porre mano pesante su questi scritti... è questione di opportunità e stile... oggi!
Ma di certo vi farà sussultare di stupore scoprire che anche il santo giullare Francesco di Assisi spesso si lasciasse andare a espressioni di un linguaggio azzardato, per non dire sconveniente. Infatti in una delle storie testimoniate da suoi seguaci, si racconta che un giovane discepolo un giorno si recò da lui disperato, sconvolto, giacché continuava ad apparirgli un orrendo demonio che lo tormentava con lusinghe e minacce, perché si lasciasse indurre nel peccato. Francesco, dopo averlo ascoltato, da autentico giullare quale era, disse al suo tormentato fratello: “Sai che debbi fare? Quando verrà l’enfame demonio, tu digli spietato: ‘Veneme appresso che eo te abbranco per l’orecchi, ti vo’ a spalancà la bocca e in quella ci caco dentro tutto lo smerdazzo che me riesce d’emprignatte!’. Così il giovine seguace repetette a lu demonio quella menaccia che Francesco li avea soggerita: ‘Te vo’ cacando in la bocca finché t’annego de merdazzo!’ Quello diavolo, preso de lo terrore, fuggì, annanno a sbatte contro rupi de le montagne che se sgretolaveno, come sotto tremmamoto, e tutto lo covertirno, seppellennolo per l’intero.”.
È inutile sottolineare che di questa leggenda non si trova traccia nella versione ufficiale della vita di Francesco, quella riscritta quarant’anni dopo da fra Bonaventura da Bagnoreggio, eletto a generale dell’ordine dalla Chiesa di Roma, che censurò l’originale, anzi lo distrusse addirittura mandandolo alle fiamme.
Ma quello di mascherare le notizie e le testimonianze che danno impaccio alle elegie è cosa di tutti i giorni da sempre. Al contrario spesso si scelgono bell’apposta, come nel caso di Luttazzi, le espressioni e i lazzi satirici palesemente scurrili e si mettono in bella mostra allo scopo di abbassare il livello di dignità dell’autore. Conosciamo bene questa pratica davvero ipocrita e furbesca: ti si accusa di usare forme oscene di linguaggio per censurarti o addirittura eliminarti dalla scena.
A me e a Franca è accaduto con Canzonissima quando ci permettemmo di parlare di morti bianche sul lavoro e della mafia criminale. Nessuno, fino ad allora, sto parlando di quarant’anni fa, aveva mai trattato l’argomento. Anche in quell’occasione, fra le tante accuse, quali quella di buttarla in politica, ci si scaraventò addosso anche l’accusa di scurrilità e di non rispettare il comune sentire degli spettatori.
Luttazzi non a caso stava preparando una puntata sull’enciclica del Pontefice. Come eliminarlo senza mettere in primo piano l’autentico soggetto? Si fa la carambola: si spara su un bersaglio laterale per poterti di rimando colpire in piena fronte o, se volete, in piene chiappe. A parte che un bersaglio come Ferrara, è così generoso, da non potersi sbagliare!
Esulta, mio caro Daniele! Così ti hanno eletto a classico della satira, e anche della letteratura! Complimenti! "
giovedì 24 gennaio 2008
Basta difendere il Papa.
Cioè qualcuno ha liberamente dimostrato, senza violenza, (com’è nel loro diritto), il proprio dissenso per la partecipazione del Papa, lui si è tirato indietro spaventato perché qualcuno poteva non essere d’accordo con il suo pensiero … e siamo NOI a non rispettare le opinioni altrui? Ratzinger avrebbe dovuto prendere atto della protesta e presentarsi comunque alla Sapienza, in nome anche di tutti gli studenti e docenti desiderosi di sentirlo parlare. Non l’ha fatto.
Come al solito la Chiesa non accetta chi la pensa diversamente, si tira indietro ad un confronto e fa la vittima. Le parole del direttore di Radio Maria, secondo cui quei ragazzi che hanno protestato dovrebbero finire all’inferno, la dice tutta.
Vergognosa poi l’uscita dei politici, sia del Governo che dell’opposizione che hanno dimostrato affetto al Papa e sostegno in questo momento difficile. Il leader dell’UDC Casini ha detto “Siamo qui (in Piazza San Pietro) per dimostrare al Papa il nostro affetto, ma anche per affermare i valori della libertà e dell'identità cristiana in Italia" e aggiunge che in Italia "c'e' un problema di libertà perché un gruppo minoritario di nostalgici delle ideologie del passato" ha impedito a Ratzinger di parlare alla Sapienza. Nessuno ha impedito al Papa di parlare. Si è tirato indietro lui per paura di un “gruppo minoritario” di contestatori.
Franceschini del PD: “Le basi di uno Stato laico sono la libertà di parola, di pensiero e delle idee altrui. La mia presenza quindi e' un atto di solidarietàal Santo Padre". E ai ragazzi e ai docenti che per dimostrare le loro idee e il loro pensiero sono stati tenuti fuori dalla Sapienza dalle forze dell’ordine e che vengono accusate di censurare il Papa non dimostra solidarietà nessuno?
P.S. 2 - Basta abusare del termine LIBERTA’. Ma Berlusconi e tutti gli altri politici che da ogni schieramento chiedono costantemente la libertà, hanno la minima idea di che cosa significa essere privati della libertà? Che sia di parola, di idea o libertà di vivere? Nel giorno della Memoria dovrebbe essere proibito l’uso e l’abuso del termine LIBERTA’ all’interno di discorsi politici.





